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Sulla solitudine

  • Immagine del redattore: Alice Gaglianò
    Alice Gaglianò
  • 21 nov
  • Tempo di lettura: 4 min

La solitudine è un argomento a due facce sui social. 

In bella mostra c'è quella “positiva”, che la maggior parte degli articoli che trovi su Instagram, tra influencer e pagine discutibili, ti descrive come esperienza mistica tipo: “Come ho scoperto la mia vera essenza ordinando un caffè da sola al bar” oppure "Risolvi la tua vita facendo un weekend in solitudine". Che per carità, a volte hanno anche senso.

Ma poi c'è l'altra faccia.

Quella di cui nessuno parla, quella negativa. Perché quasi nessuno vuole ammettere di sentirsi solo: è vista come una debolezza e confessarlo ci rende improvvisamente degli sfigati. Eppure, "siamo animali sociali", abbiamo bisogno di condividere, di raccontarci, di essere visti.


Forse è proprio per questo che mi sembra paradossale parlare di solitudine su un social.

Un posto in cui passiamo ore spesso proprio per non sentirci soli. Un luogo che riempiamo di foto e interazioni perché quella con noi stessi rimane la connessione più difficile da stabilire.

Ma voglio affrontare questo argomento lo stesso, perché la solitudine che sto vivendo è un’esperienza umana, una di quelle che tutti proviamo.


Martedì sera sono andata ad un altro concerto da sola. Una serata che ha chiuso una giornata di riflessioni sulla solitudine, perché è stato proprio in quel giorno che l’ho percepita davvero. O meglio, l’avevo sentita già da un po', come un rumore di fondo che non volevo ascoltare, immaginavo che fosse solitudine.

Sapevo che era solitudine.

Ma non avevo ancora realizzato quanto mi sentissi sola.


Si è verificata tutta una serie di situazioni insieme: mia madre è dall’altra parte del mondo, mio fratello è in un’altra regione, mio papà non c’è più, non ho una relazione, una delle mie migliori amiche era in viaggio, un’altra amica si è trasferita da poco in un altro Paese (la terza in 2 anni).

Non ho un ufficio, in palestra interagisco il minimo indispensabile, faccio solo sport individuali e in questi giorni non ho neppure Argo che mi porta i suoi giochi in camera.


Mi sono sentita davvero sola.

E credo che una solitudine così non la vivrò mai più nella vita.


Non è stata interamente scelta, non è stata quella solitudine romantica che decidiamo di abbracciare per crescere; è un po' capitata. E mi è piombata addosso pesantissima, perché non era così che la volevo.

Senza esserne pienamente cosciente, avevo già iniziato a cercare un riparo con delle meditazioni guidate sulla solitudine dalla settimana prima. E continuerò a ripeterlo, la meditazione mi ha aiutata tantissimo su così tante cose che potrei farci una lista lunga una pagina.


È stata una foto con Argo, scattata in montagna e appoggiata sulla mia scrivania, a farmi arrivare addosso la verità. Quella situazione di solitudine mentre ero a Sappada era stata scelta. Questa invece no.


E in questo vuoto ho riconosciuto con chiarezza ciò che non ho più  e ciò che avrei voluto avere. La perdita di mio papà è ovviamente la mancanza più grande che è emersa, quella da cui poi ne sono scaturite altre come conseguenze.

Credo sia da lì che parta questa sensazione di spoglio, di elenco di cose che non ci sono.


Spesso, come dicevo, leggiamo articoli dal tono “motivazionale” sulla solitudine, perché ogni esperienza deve per forza insegnarti qualcosa e dobbiamo per forza ricavarne una morale brillante.

Anch’io sono vittima spesso di questo modo di ragionare, sono portata a cercare significati e sensi della vita in tutto.  Mi sforzo di dire: “imparerò qualcosa”.


Ma la verità è che il primo step dovrebbe essere molto più semplice: ammettere che può fare schifo.

Ammettere che sentirsi soli è una merda.


È difficile, faticoso, spigoloso. È un’esperienza che ti pesa addosso.


Sono sicura che più avanti capirò davvero cosa mi ha insegnato: tra mesi o tra anni guarderò indietro e dirò “aveva un senso”. Ma adesso capisco solo che fa male.

Mi riconosco però che sto imparando a viverla e a starci dentro senza scappare, a non riempirla subito di persone o rumori.

In questo mi dà una mano la capacità e la voglia di ricercare una solitudine consapevole: concerti da sola, viaggi da sola, weekend da sola, cose che facevo anche quando avevo la mia famiglia vicina o una relazione. Il mio spazio me lo sono sempre presa.

E forse adesso mi ha spaventata così tanto perché non mi ero resa conto di ciò che incorniciava la mia vita finché non è venuto a mancare tutto insieme.


Mentre ragiono su questo, non posso fare a meno di pensare a questa frase che mi risuona in testa anche se non ne conoscevo l'autore: "The only way out is through"

(Robert Frost).

L'unica via d’uscita è attraverso.

Affrontare le difficoltà, starci dentro invece di evitarle è l'unico modo per superarle davvero. E li, camminando su quella strada tra dolore e paura ,troviamo la forza di guarire, e prenderci cura di noi stessi.





 
 
 

1 commento


Gabriella Giunta
Gabriella Giunta
21 nov

Sentirsi soli è terribile e frequente, anche quando in realtà non lo siamo❤️‍🩹

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