Guardare in faccia i propri errori
- Alice Gaglianò
- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 4 min

Ho dovuto imparare ad accettare le sconfitte molto presto.
In parte credo sia stato grazie a mio fratello.
Quattro anni più grande, quando giocavamo perdevo praticamente sempre e non è che facesse finta di niente, anzi, ci teneva a ricordarmelo ogni volta.
“AH-AH HAI PERSO”, e lo ripeteva più e più volte, soprattutto se vedeva che mi innervosivo. E io lì, piccola e stizzita, a cercare di capire come potessi diventare abbastanza brava da batterlo.
Ma il punto non era quello, perché non ci sarei mai riuscita: dovevo imparare a saper perdere. "Devi accettare la sconfitta", frase che tutti ci siamo sentiti dire tantissimo ne sono sicura, ma quante volte l'abbiamo effettivamente interiorizzata?
Fallire, sbagliare, sono cose che ci bloccano molto, soprattutto da piccoli.
Dovrebbe essere bello poter dire “Ah, ho sbagliato!” e non sentire in sottofondo i vetri delle aspettative altrui che vanno in frantumi.
Sbagliare non è una colpa da espiare, parlo di sbagli che fanno parte della vita di tutti, nel quotidiano. E non è neanche un torto che facciamo a noi stessi, eppure è così che lo percepiamo.
Non l’ho sempre pensata in maniera così positiva: è una consapevolezza che è arrivata crescendo, ma sono contenta che sia arrivata in un’età critica, ovvero intorno ai venticinque anni.
Ho sbagliato tanto, come tutti, soprattutto all’inizio dei vent’anni.
Sbagliato relazioni, sbagliato corsi di studi (più volte), sbagliato esami, sbagliato amicizie, sbagliato serate.
E l’aver cambiato facoltà più volte me lo sono fatta pesare parecchio.
Mi sembrava di aver PERSO tre anni. Tre anni! Mi parevano un’eternità.
Gli altri sembravano avere già tutto chiaro, dritti e sicuri per le loro strade, ed io mi sentivo ferma.
Il mio percorso non è stato lineare e sì, me lo potevo permettere economicamente, ma questo non lo ha reso meno faticoso da un punto di vista emotivo. Sono sempre stata ipercritica con me stessa fino appunto ai venticinque anni, quando è scattato qualcosa.
Avevo iniziato a lavorare, e confrontandomi con altre persone mi ero resa conto che su certe cose non di lavoro, ma di vita, ero più avanti.
E lì ho pensato: “Ah! Ecco a cosa servivano quei tre anni. Ecco a cosa è servito sbagliare.”
È una strada un po' difficile quella che va percorsa per imparare ad affrontare gli errori nel modo giusto.
A questo proposito mi vengono in mente le ore passate davanti ai videogiochi. È un esempio molto calzante; se penso alle volte in cui ho dovuto fare e rifare livelli, o affrontare per 20, 30, 50 volte lo stesso boss!
Le prime volte, testarda, ripetevo le stesse mosse dicendo: “Ma come, non è possibile che non funzioni!”. Poi, alla decima, quando la frustrazione cominciava a farsi sentire, iniziavo a capire cosa cambiare per andare anche solo un passo più avanti.
Ogni errore mi portava a fare scelte diverse che mi guidavano a raggiungere l'obiettivo finale. Anche questo è stato un grande insegnamento: imparare a guardare l’errore con uno sguardo critico e costruttivo significa elaborare davvero i fallimenti.
Elaborare, appunto: non far finta di niente, non dimenticare tutto e andare avanti come se nulla fosse, ma nemmeno rimuginare alimentando insicurezze e vergogna.
Insomma bisogna imparare a guardarli in faccia, gli errori.
Come scrivevo un anno fa, quando ho aperto questo blog parlando dello snowboard che ho imparato a ventisette anni, c’è una parte bellissima nell’essere consapevoli di poter fallire.
Quanto è bello provare qualcosa di nuovo, anche sapendo che potremmo non riuscirci subito. E quanto è liberatorio concederci lo spazio di sbagliare!
Ci regala qualcosa di prezioso: la possibilità di guardarci da un altro punto di vista, ma soprattutto di essere visti dagli altri nei momenti in cui siamo fragili.
E sono proprio quei momenti che creano legami profondi e una grande connessione emotiva.
Scrivo di questo in un momento in cui l’ansia si è un po’ placata, ma anche nei periodi più difficili non ho mai smesso di mettermi alla prova, di vedere se alla fine ero capace.
Era il bisogno di capire che mi guidava: capire come avrei reagito, come avrei gestito il dopo, come sarei stata. Conoscermi, sempre un po’ di più.
Non bisogna mai smettere di fare cose nuove solo perché abbiamo paura di non essere in grado. Tu prova… e poi vedi.
E infatti in questi giorni proverò una cosa che mi hanno sempre suggerito di fare, ma che per qualche motivo ho sempre un po’ schivato, per paura e per vegogna.
Ma è arrivato il momento, anche perché sono già passati tre mesi dall’ultima volta che ho fatto qualcosa di diverso... troppo tempo.
La paura di sbagliare non credo sparisca mai del tutto, nemmeno crescendo anche perché veniamo sempre messi di fronte a nuove sfide, a nuove fasi della vita.
Cambia solo il rapporto che si ha con questa paura.
Bisogna riconoscerla, accettarla, e ricordarsi che, in fondo, è anche una buona compagna che ci ricorda che siamo umani.
E a me va bene così, ogni volta che sbaglio, alla fine mi sento un po' più mia.
E tu?
Come affronti i tuoi errori?
Che lezioni ti hanno insegnato?



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